Déjà vu
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Il 41 BIS E LA DOLCE VITA
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L’articolo 41 bis della legge del ‘75, fa parte di un complesso di misure miranti a sostituire le normali regole di trattamento dei detenuti, qualora essi fossero accusati di gravi reati di criminalità organizzata, eversione o terrorismo. In questi casi, si rafforzano le misure di sicurezza, limitando il numero dei colloqui permessi e il tempo di permanenza all’aperto, e censurando la corrispondenza. Per questo, il carcere duro per mafiosi ha generato un dibattito sulla sua rispondenza ai principi generali in tema di trattamento dei detenuti, in cui le forze politiche e la magistratura difendono il suo potere di reprimere la criminalità organizzata. Ma il 41 bis è davvero “un trattamento da tortura”, come lo ha definito quel giudice americano che ha negato l’estradizione del boss Rosario Gambino? Basta visitare gli spacci dei penitenziari, per assistere all’”asprezza” delle pene inflitte ai padrini siciliani. Troviamo boss intenti a ordinare cannoli a 87 centesimi l’uno, o ad acquistare bustine di cannella al prezzo di 45 centesimi l’una; altri ordinano la spesa che porteranno poi nella cucina in cella, concessa per evitare il rischio di avvelenamento. Situazione che ha spinto la Commissione antimafia ad acquisire la lista della spesa, di certo lunga il doppio di quella scritta dall’onesto cittadino che, suo malgrado, si attiene allo stretto necessario, invece che sperperare i soldi guadagnati col sudore della fronte.
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