Lacrime e rabbia dei cittadini al funerale del deputato antisiriano Ghamen e delle due guardie del corpo
Beirut. "La tua morte, Antoine, ci spinge ad andare avanti per dare al Libano un presidente libero". Le parole dell'ex presidente Amin Gemayel risuonano sul pulpito della chiesa del Sacro Cuore, nel sobborgo cristiano di Badaro, in occasione dei funerali del deputato antisiriano Antoine Ghamen e delle due guardie del corpo, rimasti uccisi insieme con altre cinque persone a seguito dell'attacco di mercoledì scorso, condotto nel sobborgo cristiano di Beirut est utilizzando quaranta chili di esplosivo nascosti in un fuoristrada. Alle parole di Gemayel, pronunciate non senza trattenere le lacrime, risponde l'applauso di una città stanca di assistere alla vile e tragica esecuzione delle uniche persone che abbiano cercato di rimediare alla ormai evidente frattura sociale e religiosa del paese, nella speranza di ricondurre il Libano sulla strada di una degna democrazia. L'uccisione di Ghanem è la seconda tragedia avvenuta quest'anno, avendo fatto seguito all'attentato che stroncò la vita al deputato Walid Eido nel giugno scorso. Due attacchi che si inseriscono nella tragica serie di omicidi che hanno visto altri sei esponenti dello schieramento anti-siriano perdere la vita. Una barbarie iniziata nel 2005, anno in cui fu ucciso Rafiq Hariri, premier e capofila del fronte politico impegnato contro le interferenze della Siria in Libano. Poi fu la volta dell'ex capo del partito comunista George Hawi, seguito dall'assassinio del giornalista cristiano Gebran Tueni e del ministro dell'industria Pierre Gemayel, figlio di Amin, ucciso nel 2006 su mandato del candidato filosiriano Camille Kohuri. Non stupisce il fatto che siano in pochi a dubitare che l'attentato dello scorso mercoledì sia stato messo a punto dalla stessa Siria e dagli Hezbollah, contro cui si sono levati gli inni della folla all'uscita dalla chiesa. Quel che è certo, è che dietro a questi attacchi si nasconde la volontà di una fazione che vuole a tutti i costi impedire il raggiungimento della stabilità nel paese. E sta riuscendo nella realizzazione di questo piano, dato che l'uccisione di Ghanem è avvenuta a sei giorni dall'inizio delle votazioni per l'elezione del nuovo presidente della Repubblica, la carica più alta in Libano, con la conseguenza che va progressivamente allontanandosi la possibilità, per la coalizione di governo, di raggiungere il quorum parlamentare sufficiente a eleggere da sola il nuovo presidente, che dovrà succedere al filo-siriano Emile Lahoud, il cui mandato scade il 25 novembre. Come se non bastasse, tra le fila della stessa maggioranza, che aveva espresso il proprio consenso nei riguardi della proposta di compromesso avanzata dagli Hezbollah, aumenta il rancore per la perdita dell'ennesimo esponente. E sembra rinviato a data incerta l'incontro tra il leader sciita Nabil Berri e il patriarca maronita Nasrallah Sfeir, più che un semplice colloquio, dato che il criterio necessario per la scelta del nuovo presidente è l'appartenenza alle fila dei cristiani maroniti.
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