Speranze positive per gli esiti futuri di un accordo che segna la fine dell'ultimo conflitto della guerra fredda
Pyongyang. Il vertice tra il leader sudcoreano Roh Moo-Hyun e il "monarca rosso" della Corea del nord Kim Jong II, è approdato ieri, dopo tre giorni di trattative, ad un risultato inaspettato. I leader delle due Coree hanno infatti sottoscritto una dichiarazione congiunta, nella quale dichiarano la loro volontà di "mettere fine all'armistizio e costruire una pace permanente". Quella raggiunta ieri sembrerebbe l'intesa che il mondo attende da 57 anni. La storia del conflitto tra le due Coree risale infatti al 1950, anno in cui la Corea del nord invase quella del sud, dando avvio ad una guerra che da subito spinse l'Onu ad intervenire, inviando una forza multilaterale composta da 55.000 soldati, destinati a perdere la vita nel corso dei successivi tre anni, al termine dei quali si è arrivati all'attesa firma dell'armistizio. Dal 1953 in poi, il confine tra le due Coree è stato considerato "zona smilitarizzata", ma lo era solo in apparenza. Da allora il mondo ha sempre sperato in un trattato di pace, il solo in grado di assicurare la fine di qualunque focolaio ancora non estinto, con la consapevolezza della necessaria approvazione da parte delle grandi potenze che hanno giocato un ruolo importante in questo conflitto, Stati Uniti e Cina. Gli Usa accetterebbero il compromesso a patto di ricevere garanzie concrete sullo smantellamento dell'impianto nucleare in mano al regime comunista di Kim Jong II, lo stesso impianto che fece tremare la terra la mattina del 9 ottobre 2006, quando il monarca rosso volle sfidare la comunità internazionale facendo avviare un test nucleare. La Cina, dal canto suo, vuole mantenere il potere di controllo sulla Corea del nord, attenuando gli eccessi del regime senza cambiarne la natura, in modo da permettere a Pyongyang lo sviluppo del capitalismo, pur mantenendo una forma di regime autoritaria. Alla luce di questa situazione, è ovvio affermare che dietro al compromesso di ieri ci sia un accordo stretto tra Cina, Stati Uniti, Giappone, Russia e le due Coree. Kim Jong II, secondo un'opinione diffusa, avrebbe accettato il dialogo con il leader sudcoreano soprattutto in ragione delle difficoltà economiche che hanno messo alle strette la Corea del nord. Per garantire il raggiungimento dell'intesa, infatti, è stato determinante l'accordo con il governo di Seul sulle forniture di greggio e riso. La promessa della disattivazione dell'impianto nucleare di Yongbyon da parte di Kim, e la sottoscrizione di questa dichiarazione congiunta, sembrano segnali positivi per la fine della tragica storia che ha convolto le due Coree, ma non mancano precedenti che mettono in discussione qualunque ipotesi positiva. Come il mancato rispetto dell'accordo, stipulato sette anni fa tra lo stesso Kim e l'allora leader sudcoreano Kim Dae Jung, nel quale erano state riposte le speranze di un definitivo disgelo.
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